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Non so che tipo di rapporto abbiate voi con il passato con la P maiuscola. La città dalla quale provenite è intrisa di storia? Ci sono ponti romani, vestigia, rovine medievali a ricordarvi che il passato è parte attiva del presente?
La frazione dalla quale provengo, in confronto a numerose altre italiche realtà, è una giovincella. E’ riportata alle cronache per un recente ed atroce fatto che si è consumato nel 1944: un eccidio nazista che ha tolto la vita a numerosi civili e partigiani. Il 9 settembre di ogni anno, a memoria dei caduti, si è puntualmente ricordato il triste avvenimento riunendo sopravvissuti, famigliari, autorità civili e religiose, la comunità tutta. Quest’anno se ne celebrava il settantesimo anniversario.
Nella mia ingenuità di ragazzina, negli anni della mia adolescenza, ho sempre partecipato a questa adunata con un sentimento che adesso chiamo di vuoto orgoglio: tutto quello sventolare di bandiere, gonfaloni e tricolori non nego esercitasse un certo fascino su di me, discendente di un martire “della Patria”. Non mi rendevo conto che non è l’autorità ad essere portatrice della memoria, ma la comunità stessa. E’ in un soffio, con il passare del tempo, che i sopravvissuti vengono meno, così come la volontà di tenere viva la memoria.
Proprio quest’anno, in concomitanza con questo importante anniversario, ho per la prima volta visto panche interamente vuote durante la cerimonia commemorativa. Durante le ultime elezioni enormi pannelli destinati all’affissione dei manifesti elettorali, nascondevano il monumento in memoria ai caduti, per poi, tra l’altro, rimanere irrimediabilmente vuoti. Segni palesi, non di una volontà di dimenticare, ma proprio di fregarsene, che è anche peggio se volete una mia opinione. Una volta morta l’ultima staffetta partigiana, l’ultimo testimone di quel funesto giorno, temo ne resterà traccia solo nei libri di storia locale. Che solo qualche curioso leggerà.

