La 'Giornata della memoria' vista da me
Jan. 30th, 2012 01:32 amDa qualche anno a questa parte, il 27 gennaio è diventato ufficialmente la "Giornata della memoria", l'attenzione da parte della scuola e dei media è sempre maggiore, come anche la richiesta di un impegno collettivo per sensibilizzare l'opinione pubblica.
Sinceramente quando si parla di invitare testimoni o ex deportati nelle scuole, provo un vago senso di paura e perplessità, vuoi perchè non sono propriamente convinta della maturità dei soggetti ai quali il messaggio è destinato, vuoi perchè temo quella percentuale sempre presente di menti malate e facilmente impressionabili che, da questi incontri, trarrebbero (e tranno) spunti per dare vita ad ignobili azioni volte a rinnovare l'antisemitismo. Come si suol dire, la madre dei cretini è sempre incinta.
Il "non dimenticare", sta di fatto, è necessario; perpetuare la memoria anche quando l'ultimo dei sopravvissuti se ne sarà andato, di vitale importanza.
Nel dare il mio piccolo ed insignificante contributo, posso dirvi che ho letto libri, visto decine di documentari, visitato tre lager, conosciuto deportati. Uno di loro sta a poche decine di metri da qui: giornalmente lo scorgo trascinare i suoi anni fuori casa, sedendosene, sconfitto, lì sull'uscio, a fumare Nazionali senza filtro. Ricordando a chi glielo chiede "eravamo solo un numero" e "faceva un freddo maledetto, e le dannate SS sempre a lamentarsi per il Kälte" [1]. Ricordi dolorosi anche per chi non ne è parte.
Da indegna ascoltatrice e "spettatrice", posso provare a dare un consiglio a chi non ne sa molto, e vorrebbe prendere coscienza. Posso dire sinceramente che visitare un lager senza aver dapprima approfondito quella parte di storia, non aiuterà a realizzare cosa lì vi è accaduto. Come visitare un lager dopo averne letto in lungo ed in largo, non porterà a nulla di più. Io stessa non vi sarei andata se non fossi stata letteralmente trascinata dai miei vecchi insegnanti. Se avete sensibilità, senso della giustizia, fame di verità e umanità, vi sarà sufficiente leggerne. Lo sdegno, l'incredulità, l'amarezza, l'orrore saranno sentimenti che giungeranno da sè, senza bisogno di sfilare tra i Blöcke ed introdursi nelle baracche. So che molto spesso la mente umana ha bisogno di vedere per credere; ma vi dico la sincera verità, io lì mi sentivo una profanatrice di tombe. Non avevo bisogno di vedere nulla. Mi sentivo un'intrusa e provavo quel disagio che avvertiamo ora nei confronti di quelli che vanno a farsi fotografare, smaglianti, davanti ai resti della Concordia.
Quello che invece mi sento di consigliare, se lo avete rimandato o evitato per lungo tempo, è di dare una possibilità a Se questo è un uomo. E' il classico libro che tutti conoscono e pochi hanno letto. Magari sta lì in libreria, e se ne rimanda la lettura ad oltranza, per un "prossimo futuro". Ecco, non rimandate più. La cosa straordinaria, e allo stesso tempo allucinante, di questo libro è che c'è Vita dentro. La narrazione di fatti nudi e crudi non è mai totalmente fine a sè stessa, ma sempre accompagnata da una riflessione e uno stupefacente tentativo di analisi della mente umana e dei meccanismi che regolano la sopravvivenza. Sarete esposti alla crudeltà (mai descritta in maniera eccessivamente sanguinaria), ma allo stesso tempo comprenderete qualcosa in più della vostra stessa vita. A larghi sprazzi un trattato di filosofia.
" Tutti scoprono, più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i due stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito. Vi si oppone la nostra sempre insufficiente conoscenza del futuro; e questo si chiama, in un caso, speranza, e nell'altro, incertezza del domani. Vi si oppone la sicurezza della morte, che impone un limite a ogni gioia, ma anche a ogni dolore. Vi si oppongono le inevitabili cure materiali, che, come inquinano ogni felicità duratura, così distolgono assiduamente la nostra attenzione dalla sventura che ci sovrasta, e ne rendono frammentaria, e perciò sostenibile, la consapevolezza." da Se questo è un uomo di Primo Levi
[1] Kälte in tedesco significa freddo. Ma i deportati italiani, per assonanza, lo traducevano come caldo, pensando che quindi le SS si prendessero gioco di loro.
Sinceramente quando si parla di invitare testimoni o ex deportati nelle scuole, provo un vago senso di paura e perplessità, vuoi perchè non sono propriamente convinta della maturità dei soggetti ai quali il messaggio è destinato, vuoi perchè temo quella percentuale sempre presente di menti malate e facilmente impressionabili che, da questi incontri, trarrebbero (e tranno) spunti per dare vita ad ignobili azioni volte a rinnovare l'antisemitismo. Come si suol dire, la madre dei cretini è sempre incinta.
Il "non dimenticare", sta di fatto, è necessario; perpetuare la memoria anche quando l'ultimo dei sopravvissuti se ne sarà andato, di vitale importanza.
Nel dare il mio piccolo ed insignificante contributo, posso dirvi che ho letto libri, visto decine di documentari, visitato tre lager, conosciuto deportati. Uno di loro sta a poche decine di metri da qui: giornalmente lo scorgo trascinare i suoi anni fuori casa, sedendosene, sconfitto, lì sull'uscio, a fumare Nazionali senza filtro. Ricordando a chi glielo chiede "eravamo solo un numero" e "faceva un freddo maledetto, e le dannate SS sempre a lamentarsi per il Kälte" [1]. Ricordi dolorosi anche per chi non ne è parte.
Da indegna ascoltatrice e "spettatrice", posso provare a dare un consiglio a chi non ne sa molto, e vorrebbe prendere coscienza. Posso dire sinceramente che visitare un lager senza aver dapprima approfondito quella parte di storia, non aiuterà a realizzare cosa lì vi è accaduto. Come visitare un lager dopo averne letto in lungo ed in largo, non porterà a nulla di più. Io stessa non vi sarei andata se non fossi stata letteralmente trascinata dai miei vecchi insegnanti. Se avete sensibilità, senso della giustizia, fame di verità e umanità, vi sarà sufficiente leggerne. Lo sdegno, l'incredulità, l'amarezza, l'orrore saranno sentimenti che giungeranno da sè, senza bisogno di sfilare tra i Blöcke ed introdursi nelle baracche. So che molto spesso la mente umana ha bisogno di vedere per credere; ma vi dico la sincera verità, io lì mi sentivo una profanatrice di tombe. Non avevo bisogno di vedere nulla. Mi sentivo un'intrusa e provavo quel disagio che avvertiamo ora nei confronti di quelli che vanno a farsi fotografare, smaglianti, davanti ai resti della Concordia.
Quello che invece mi sento di consigliare, se lo avete rimandato o evitato per lungo tempo, è di dare una possibilità a Se questo è un uomo. E' il classico libro che tutti conoscono e pochi hanno letto. Magari sta lì in libreria, e se ne rimanda la lettura ad oltranza, per un "prossimo futuro". Ecco, non rimandate più. La cosa straordinaria, e allo stesso tempo allucinante, di questo libro è che c'è Vita dentro. La narrazione di fatti nudi e crudi non è mai totalmente fine a sè stessa, ma sempre accompagnata da una riflessione e uno stupefacente tentativo di analisi della mente umana e dei meccanismi che regolano la sopravvivenza. Sarete esposti alla crudeltà (mai descritta in maniera eccessivamente sanguinaria), ma allo stesso tempo comprenderete qualcosa in più della vostra stessa vita. A larghi sprazzi un trattato di filosofia.
" Tutti scoprono, più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i due stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito. Vi si oppone la nostra sempre insufficiente conoscenza del futuro; e questo si chiama, in un caso, speranza, e nell'altro, incertezza del domani. Vi si oppone la sicurezza della morte, che impone un limite a ogni gioia, ma anche a ogni dolore. Vi si oppongono le inevitabili cure materiali, che, come inquinano ogni felicità duratura, così distolgono assiduamente la nostra attenzione dalla sventura che ci sovrasta, e ne rendono frammentaria, e perciò sostenibile, la consapevolezza." da Se questo è un uomo di Primo Levi
[1] Kälte in tedesco significa freddo. Ma i deportati italiani, per assonanza, lo traducevano come caldo, pensando che quindi le SS si prendessero gioco di loro.