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In genere quando si parla di fate, gnomi, folletti, ninfe o altre creature dei boschi, si va automaticamente a pensare ai miti della cultura irlandese o nord-europea in generale, e si tralascia o si ignora il fatto che tramandare certe leggende circa l’esistenza di queste creature è cosa anche italica e per la precisione tipica della cultura contadina qui del nord. Che poi queste credenze siano figlie dello stesso ceppo celtico è altamente probabile, dato che i nostri amici celti hanno scorrazzato un po’ per tutta Europa.

Qualche anno fa, durante un soggiorno in Irlanda, rimanevo allibita, stupita, divertita (mi sganasciavo) dinnanzi ai racconti di un tizio distinto che bazzicava il locale nel quale lavoravo , che, in questo tono sicuro e fiero , mi raccontava di frequentarsi abitualmente con un lepreciauno (…) Non avevo pensato che anche i nostri saccenti vecchini veneti raccontavano, convinti, storie sull’esistenza di salbanei (folletti) dispettosi e spaventosissime anguane.

Ci ha pensato Patrizia Laquidara con il suo “Il canto dell’anguana” a ricordarmi di queste leggende.
Patrizia, cantautrice di origine siciliana con alle spalle due album, una partecipazione a SanScemo e (forse) mediaticamente conosciuta per Destinazione Sanremo e la colonna sonora di Manuale d’Amore, ha deciso di rendere omaggio alla terra d’adozione vicentina richiamando nel suo LP questa figura mitologica dell’anguana.

Le anguane erano creature metà donne e metà serpente che stanziavano tipo in branco in grotte nei pressi di corsi d’acqua, dalle quali uscivano di notte con cesta di vimini cariche di panni da lavare, accompagnandosi con canti che risultavano ammaliatori alle orecchie degli “umani”. Proprio per ciò si raccomandava ai maschietti, piccoli o grandi che fossero, di stare alla larga da questi luoghi per non venire soggiogati e rimanere per sempre prigionieri di queste donne all’interno delle buse (le grotte, appunto). Nella pratica una sirena 2.0 o un’ondina della tradizione germanica.
Ovviamente le versioni circa la natura delle anguane si sono moltiplicate nel tempo e in molti casi la loro figura non appariva così maligna o “animalesca”. Molto spesso risultavano essere delle donne piuttosto piacenti, dai lunghi capelli, e che usavano vestire di bianco. In qualche caso si sposavano, rimanendo pur sempre delle creature misteriose, con il segreto inconfessabile circa la loro reale natura da celare anche ai loro mariti. Ed è proprio per potersi mostrare nella loro essenza più autentica che almeno una volta al mese si recavano presso un corso d’acqua, allontanandosi da sguardi indiscreti ed invitando i loro compagni a non pedinarle. L’uomo ovviamente, come nelle più tristi delle storie (e nel più classico dei casi), finiva per rovinare tutto spiando la moglie-anguana lungo il torrente/fiume/ruscello e obbligandola quindi a sparire per sempre (poi sono le donne quelle che non si fanno gli affaracci propri).

Morale della favola: in una coppia meglio non pretendere di conoscere tutto l’uno dell’altro, rispettare gli spazi reciprochi e mantenere sempre un certo “mistero”. Questa è la lezione che Patrizia ha ricavato da questa storia e che ha deciso di cantare ne “L’acqua fioria”, seconda traccia di questo LP.



Album assolutamente da non perdere per gli amanti del folk (Patrizia viene accompagnata dagli Hotel Rif, gruppo folk di tutto rispetto) ed è un’ennesima affermazione di questo rispolvero della musica dialettale e di questo rinnovato bisogno di far conoscere la propria identità locale al di fuori dei confini della propria regione.

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